Scarti alimentari ittici: approccio di analisi del ciclo di vita

Negli ultimi due decenni la produzione di prodotti ittici è cresciuta costantemente, con un aumento significativo dell’allevamento in acquacoltura. Si stima infatti che nel 2018 la produzione ittica globale abbia raggiunto circa 179 milioni di tonnellate. Tuttavia, questa tendenza in continua crescita provoca numerosi effetti negativi, come ad esempio la degradazione degli habitat, danni agli ecosistemi, sovrapesca ed aumento dei rifiuti generati. Secondo i dati FAO, nei Paesi sviluppati si spreca ogni anno in media il 9-15% dei prodotti ittici pescati e raccolti. Infatti, una quota di prodotto non ritenuto di alto valore viene scartata ancora prima di essere immesso sul mercato. Inoltre, parte della merce viene sprecata anche a livello di consumo domestico. In particolare, numerosi pesci ossei, cartilaginei ed alcune altre specie appartenenti alla classe Echinoidea, come i ricci di mare, generano una notevole quantità di scarti. 

Fig 1. Secondo la FAO, si spreca ogni anno il 9-15% dei prodotti ittici pescati e raccolti.

Per evitare sprechi eccessivi e il conseguente aumento dei rifiuti, la FAO ha incoraggiato negli ultimi anni gli operatori del settore ad attuare opportune strategie di prevenzione. Tra queste, la cooperazione tra produttori potrebbe essere molto utile per evitare la sovrapproduzione, cioè la situazione che si verifica quando l’offerta del mercato supera la domanda. In questo caso, l’eccessiva produzione di un’azienda potrebbe risolvere la carenza di prodotti di un’altra, evitando così che la sovrapproduzione rimanga invenduta, e quindi scartata. 

Un’altra soluzione realizzabile è quella di effettuare indagini di mercato sulle preferenze dei consumatori nei supermercati. In effetti, alcuni studi mostrano come i consumatori siano più propensi ad acquistare prodotti innovativi diversificati, a condizione che siano qualitativamente di standard elevati e che non siano modificati nel gusto. Lo strumento di ricerca di mercato può quindi essere un valido supporto per le aziende nell’orientare la propria produzione in base alla domanda e alle preferenze dei consumatori.

L’opinione pubblica negli ultimi anni sta manifestando un maggiore interesse per le implicazioni ambientali dei prodotti ittici lungo tutta la filiera, dalla cattura alla fine del ciclo di vita di tali prodotti. La sostenibilità del settore ittico consiste nel mantenimento di un equilibrio parecchio complesso e dinamico: garantire la protezione sociale dei pescatori ed acquacoltori, conservare la biodiversità, mantenere standard di filiera elevati, abbattere le conseguenze negative legate alla cattura ed infine ridurre e recuperare gli scarti dei prodotti ittici in fase di lavorazione. Nello specifico, uno dei principali obiettivi dei progetti CIRCULAr e BRITEs è quello di analizzare l’impatto ambientale derivato dall’adozione di un modello di economia circolare. Il riutilizzo degli scarti di riccio di mare permette infatti la creazione di nuovi prodotti ed applicazioni ecosostenibili. Tra questi, il gruppo di lavoro sta testando l’estrazione del collagene marino per la realizzazione di prodotti biomedicali e l’impiego della farina prodotta dagli scarti del riccio di mare da utilizzare come integratore dei mangimi per il pollame d’allevamento.

Per comprendere l’impatto ambientale di queste filiere, i ricercatori si avvarranno dell’approccio di Analisi del ciclo di vita (Life Cycle Assessment – LCA). L’LCA è particolarmente utile perché analizza tutte le fasi (Fig. 2) che caratterizzano la vita di un prodotto.

Figura 2. Il ciclo di vita di un prodotto                                                                             

L’LCA è inoltre lo strumento scientifico più utilizzato per le analisi ambientali in quanto esso è in grado di determinare in modo accurato la quantificazione delle impronte (energia, acqua, carbonio, etc.) e le categorie di impatto ambientale (riscaldamento globale, eutrofizzazione, tossicità umana, etc.). L’elaborazione di un LCA si compone di 4 fasi correlate (Fig 3): 

1) definizione dell’obiettivo e dell’ambito dello studio, inclusi i limiti del sistema e dell’unità funzionale; 
2) sviluppo dei flussi di inventario (input e output); 
3) valutazione dei potenziali impatti ambientali; 
4) interpretazione dei risultati, traendo così conclusioni e raccomandazioni appropriate. 

Figura 3. Le fasi dell’Analisi del ciclo di vita

Utilizzando questo approccio, si andrà a studiare l’impatto ambientale delle due filiere (sostituti della pelle a base di ccollagene marino e uova prodotte da pollame d’allevamento nutrito con farina derivante gli scarti di riccio di mare). Dopo aver individuato i processi che – all’interno del sistema analizzato – sono responsabili dei maggiori effetti potenziali sull’ambiente, si analizzeranno le due soluzioni al fine di valutarne l’impatto globale, e poter così determinare quanto siano davvero virtuose (non solo in termini di riutilizzo degli scarti, bensì anche per l’ambiente). 

Referenze bibliografiche:

– FAO, 2011. Global food losses and food waste. Extent, causes and prevention. 

– FishStatJ, 2021. Software for Fishery and Aquaculture. Statistical Time Series. Food and Agriculture Organization of the United Nations: Fishery Division.

– MacLeod, J.A., Kuo, S., Gallant, T.L., Grimmett, M., 2006. Seafood processing wastes as nutrient sources for crop production. Canadian Journal of Soil Science, 86, 631-640.

– Stuart, T., 2009. Waste – uncovering the global food scandal. Penguin Books: London.

Si ringrazia Federico Zilia per la realizzazione dell’articolo e le immagini, Marcello Turconi per la revisione e l’organizzazione editoriale.